Viaggiare per me significa guidare con la mia smart verso uno dei borghi più belli d’Italia, salire su un treno veloce verso una città d’arte, percorrere sentieri fino a raggiungere la cima di un’alta montagna, prendere un volo che mi porti dall’altra parte del mondo.
Non è importante sapere che la meta prefissata sia a un’ora di strada oppure dieci, tra tratte aree, traghetti e corse in bus. L’entusiasmo è sempre lo stesso, paragonabile a quello di una bimba che va al mare nelle vacanze estive.
Ad ogni partenza sono serena, il viaggio mi mette nel posto giusto con me stessa, mi fa sentire al sicuro. Com’è possibile che, quando sono a casa, mi assalgano paure e, quando sono in viaggio, mi lancio nel provare le più disparate esperienze, senza pensarci solo attimo, a volte anche un po’ azzardate, lo ammetto, per poi rendermi conto, a mente lucida, del rischio di quella scelta.
Eppure non mi sono mai pentita, anzi! Questi due anni di pandemia, nei quali ho dovuto ridimensionare i viaggi, mi sono ripetuta diverse volte “Menomale che l’hai fatto”!
Certamente viaggiare per lavoro è diverso. Quando accompagno le persone in giro per il mondo non ho la possibilità di fare ciò che voglio, sebbene lasci sempre degli spazi in cui poter improvvisare delle situazioni con i clienti, per vivere più da vicino, la realtà locale, senza quel filo di distanza che, inevitabilmente, si crea. Quando viaggi per scoprire una parte nuova di mondo, sei una persona che entra in contatto con uno spazio sconosciuto, in cui non c’è legame, almeno fino a quel momento.
Viaggiare per lavoro, però, mi permette di conoscere tante persone che diventano loro stesse il mio viaggio. E sai perché? Perché si impara insieme, ci si ascolta, ci si apre più facilmente e questo porta a una maggior facilità di connessione; si tolgono i veli, non si è più l’Avvocato, il padre di famiglia, la mamma di cinque figli, ma si E’.
Viaggio perché sono estremamente curiosa di vedere con i miei occhi come le persone nel mondo vivono, come parlano una lingua diversa dalla mia e quale religione seguono, capirne i motivi, per poi lasciare andare tutto così com’è e semplicemente osservarne i contorni. Sì, perché poi realizzi che, da qualunque parte del mondo tu provenga, che le tradizioni, le religioni possono essere molto diverse dalle tue ma le esigenze primarie sono le stesse. Ed è lì, in quel punto cruciale, che le distanze si accorciano ed è esattamente lì che trovo il fascino del viaggio. Sentirmi attratta da una realtà così diversa per poi stringerla a me, nella somiglianza e nella comprensione delle gioie e delle difficoltà.
Io dico che viaggiare mi ha salvato la vita. Spesso mi ha protetta dalla noia, da una cultura nella quale sono cresciuta e nella quale non mi rispecchiavo totalmente.
Viaggiare mi ha dato le risposte alla lotta interiore del mio essere diversa, quell’etichetta dalla quale, fino a qualche anno fa, se esternata, mi dava noia, ma che oggi ho accettato come parte integrante di me. Non ho mai cercato di sopprimere questo lato, farlo avrebbe significato perdermi. La bramosia di andare, provare, conoscere mondi nuovi, non stare mai ferma è stato faticoso, a volte, eppure mi ci fiondavo perché lì trovavo la mia pura essenza. Oggi il mio mondo non corre più alla stessa velocità, si gode il momento, ma c’è una cosa che non è cambiata, la passione. Quella cresce ad ogni volto, sorriso, panorama che incrocio che fa sorgere domande alle quali mi piace cercare una risposta.
Viaggio, cercando di apprezzare ogni momento, senza giudizio. Non ho raggiunto il grado di consapevolezza che vorrei ma fluisco nel suo divenire.